Nella rivoluzione tecnologica che investe la medicina, si aprono nuove strade e possibilità per la comprensione e la diagnosi delle malattie neurodegenerative.
Un gruppo di ricercatori delle Università di Duke, Harvard e Otago ha sviluppato un innovativo metodo capace di stimare la velocità con cui una persona invecchierà: un potenziale elemento chiave per prevedere l’insorgenza di demenza e altre malattie neurologiche legate all’età in fase preclinica. Questa nuova tecnologia, chiamata DunedinPACNI, parte dall’analisi di una singola risonanza magnetica cerebrale per identificare segnali predittivi di malattie croniche che emergeranno dopo decenni, fornendo una possibilità di diagnosi precoce per condizioni come la demenza o l’Alzheimer. Ne parla questo articolo sul portale Tech2Doc.
DunedinPACNI è stata addestrata utilizzando le Rm cerebrali di 860 partecipanti, per essere poi validato includendo ulteriori set di dati provenienti da Regno Unito, Stati Uniti, Canada e America Latina. I risultati hanno dimostrato che chi presenta un tasso di invecchiamento cerebrale più rapido generalmente ha prestazioni cognitive inferiori e un rischio significativamente più elevato di declino cognitivo precoce.
In un’analisi comparativa, i ricercatori hanno inoltre esaminato le Rm di 624 individui tra 52 e 89 anni provenienti da uno studio sul rischio di Alzheimer, rilevando come chi invecchia più in fretta abbia anche il 60 per cento di probabilità in più di sviluppare demenza, il 18 per cento di ricevere una diagnosi di malattia cronica e il 40 per cento di morire nello stesso arco temporale rispetto ai propri coetanei.
Un altro approfondimento su Tech2Doc, racconta uno strumento potenzialmente fondamentale nello studio e nella diagnosi precoce della sindrome di Kabuki e di patologie come Alzheimer, Parkinson, demenza senile e Sla.
Si tratta della microscopia Brillouin, che consente di misurare in tempo reale e in modo non invasivo proprietà meccaniche cruciali come elasticità, viscosità e rigidità. La sua peculiarità è quella di analizzare cellule in vivo senza danneggiarle né interferire con i loro processi vitali, offrendo dati preziosi sul loro stato fisico.
Dopo anni di sviluppo, la comunità scientifica ne sancisce ufficialmente la maturità, con un documento pubblicato su Nature Photonics. Nello studio, ricercatori di 33 istituzioni – tra cui anche cinque italiane – hanno definito in maniera condivisa i criteri fondamentali e le possibili applicazioni della microscopia Brillouin, gettando così le basi per il suo riconoscimento ufficiale a livello internazionale.
Claudia Torrisi