Chi non si interroga sulla caducità della vita? E sul dopo: eternità o nulla? Consideriamo l’ineluttabile a noi estraneo, sebbene sia la sorte che tutti ci riguarda. La morte ci spaventa… ma come affrontare le scelte (dolorose) che l’ultimo tratto dell’esistenza ci impone?
Giuseppe Remuzzi riflette, ancora una volta, sul fine vita: un tema etico, emotivo e complesso, che travalica la medicina e sconfina nella sfera politica e legislativa, continuando ad accendere il dibattito nell’opinione pubblica.
«La vita, come si sente dire spesso, è sacra; ma anche la morte – dice l’Autore, direttore dell’Istituto di ricerche farmacologiche “Mario Negri” nonché membro dell’Accademia dei Lincei – è parte della vita e riconoscerlo è il primo passo per restituirle dignità”.
Perché, se possiamo disporre della nostra esistenza in tutto e per tutto, non dovremmo poter disporre anche della nostra morte? Perché – ci si domanda – si possono rifiutare le terapie per le malattie curabili, ma non la respirazione forzata, l’idratazione, l’alimentazione e tutte quelle pratiche che trasformano i momenti più intimi della vita in un tormento?
Il distacco (terreno) dovrebbe restare tra il paziente, il suo medico e chi gli è caro, spiega Remuzzi, professore ordinario “per chiara fama” all’università Statale di Milano. Un valore interiore che dovrebbe essere soltanto nostro, come chiarisce il sottotitolo dell’opera.
Tra gli argomenti, che ruotano intorno al fine vita, affrontati nel volume sono lo stato vegetativo – distinto in persistente e permanente – la donazione degli organi, la dat (ovvero la legge sulle disposizioni anticipate di trattamento), come dire la verità ai pazienti gravi senza spegnere la speranza, come parlare ai bambini terminali, le cure palliative, le esigenze di spiritualità degli ammalati in fin di vita.
Non mancano ponderate considerazioni su invecchiamento, geni, cervello, memoria, longevità e le menti eccelse che hanno dato il meglio di sé in tarda età, da Leonardo a Giovanni Bellini fino a Mildred Dresselhaus e Brenda Milner che, rispettivamente a 83 e 96 anni, hanno vinto il premio “Kavli” per le nanoscienze e le neuroscienze nel 2012 e nel 2014.
C’è chi vuole congedarsi dal mondo in solitudine, chi vuole intorno i propri affetti, chi implora i medici di prolungargli nei limiti del possibile di un giorno o di ore nell’attesa di un caro per l’ultimo abbraccio.
A volte non ci si riesce. A volte sì (ci sono ormoni – si pensa – che mantengono in vita la persona fino al momento aspettato, ma non abbiamo ancora abbastanza conoscenza per comprendere un tale “prodigio”).
C’è poi la tenera storia di Oscar the Cat. Trovato nel seminterrato dell’ospedale e adottato dagli infermieri di Providence, nel Rhode Island, quando era ancora un gattino, Oscar riusciva a prevedere chi stava per morire di lì a poco e gli restava accanto fino all’ultimo istante. Dando il tempo ai medici di avvisare i congiunti per dire addio al proprio familiare. In 17 anni, non ha mai sbagliato.
Paola Stefanucci
PER ACQUISTARE IL LIBRO
In punta di piedi. C’è un valore negli ultimi momenti della vita e deve essere nostro di Giuseppe Remuzzi
Mondadori, Milano, 2025, pp. 144, euro 18,00





