In un periodo in cui il Governo ipotizza il passaggio alla dipendenza dei medici di medicina generale (e una parte della stampa riserva attacchi all’Enpam), è bene chiedersi se tale misura sia la soluzione alla carenza di medici di famiglia e la via per permettere alla categoria di continuare a esercitare al meglio la propria professione, a beneficio dei pazienti. Ne parla nel suo editoriale, pubblicato sul numero 1/2025 del Giornale della previdenza, il presidente dell’Enpam, Alberto Oliveti.
A voler credere a certe rappresentazioni mediatiche, sembra che i problemi della sanità territoriale dipendano dal fatto che i medici di famiglia siano dei lavativi. Non c’entra invece il fatto che, per esempio, nel giro di un solo anno i medici di medicina generale attivi in Italia sono diminuiti di quasi 6mila unità (dati di bilancio Enpam 2023).
E che quindi i medici di famiglia, di continuità assistenziale e i pediatri di libera scelta rimasti, si siano trovati a dover far fronte al carico di lavoro prima suddiviso fra gli altri. Per giunta in un contesto di popolazione che nel frattempo è ulteriormente invecchiata, con più pazienti cronici e in un clima di accresciuta aggressività.
Tutti gli allarmi che negli anni l’Enpam ha lanciato sulla prevista carenza dei medici di famiglia, sono rimasti inascoltati.
La programmazione non è stata adeguata e i cittadini oggi ne vivono gli effetti. Eppure adesso, secondo alcuni, è colpa dell’Enpam se i medici si pensionano, se tanti studi professionali chiudono perché i rimpiazzi sono insufficienti, e se il Servizio sanitario nazionale fa fatica a riempire le Case di comunità previste dal Pnrr.
E, soprattutto, qualcuno vorrebbe far credere che esista una soluzione magica: trasformare i medici di famiglia in dipendenti (che a quel punto non sarebbero più lavativi). Peccato che se si spostassero i contributi previdenziali all’Inps, l’Enpam fallirebbe, e sarebbero a rischio le pensioni di tutti.
Poi c’è la chicca, secondo cui il disegno dell’Ente sarebbe quello di costruire “case di comunità private” per lucrare sulle spalle dei cittadini e dei giovani medici. La vulgata vuole che Enpam per quest’iniziativa abbia addirittura messo in preventivo 8 miliardi di euro (!).
Una ricostruzione a dir poco distorta del progetto (peraltro da 20 milioni di euro, ancora non investiti) che è stato studiato dalla Fondazione per permettere ai medici di famiglia, specialmente ai più giovani, di aggregarsi in studi attrezzati e multiprofessionali, da far funzionare come case di comunità “spoke” e sempre all’interno del Ssn come accade oggi.
Un’idea da subito proposta al Ministro della Salute e alle Regioni come naturale completamento delle case di comunità “hub” previste dal Pnrr, in modo da far sopravvivere e valorizzare il buono che c’è nel sistema della sanità territoriale italiana, e cioè la capillarità e il rapporto fiduciario con il proprio medico di scelta.
È infatti dimostrato internazionalmente che la continuità del rapporto e la capillarità della presenza sono elementi fondanti del buon successo dell’assistenza primaria.
L’Enpam ritiene di essere l’ente di previdenza di professionisti che danno il massimo per la salute dei cittadini, e non di meri esecutori o di impiegati.
Negli ultimi dodici anni, nonostante la grave crisi del lavoro in sanità, il patrimonio dell’ente è più che raddoppiato, passando da 12 miliardi ai 28 miliardi (previsione per quest’anno a valori di mercato).
Questo per garantire le pensioni di tutti. Nel contempo le prestazioni previdenziali sono aumentate, e così quelle assistenziali, trovando persino risorse per distribuire aiuti straordinari nei momenti più neri del Covid.
Abbiamo sostenuto il Paese con investimenti coerenti e pagando centinaia di milioni di euro di tasse allo Stato, contribuendo così a ripianare il deficit corrente dell’Inps.
Chissà che con la scusa dei lavativi qualcuno non voglia usare il patrimonio dell’Enpam per risolvere qualche ulteriore problema.
Alberto Oliveti
Presidente della Fondazione Enpam








