C’è una luce “pura” che si manifesta solo nella fragilità. Lo ha capito quasi per caso, ancora prima di diventare odontoiatra, Paolo Ottolina quando, da studente, ha iniziato a frequentare reparti difficili di un Istituto dove il dolore era muto e spesso dimenticato.
Quello è stato l’inizio di un percorso umano e professionale che oggi lo vede impegnato da quasi trent’anni nel curare persone con disabilità e fragilità complesse.
Non è solo altruismo – spiega – è un modo di vivere la medicina come vocazione, come facevano i santi Cosma e Damiano, “medici anargiri” che curavano senza chiedere nulla in cambio.
Ottolina non rifiuta il valore del denaro, ma difende con forza l’importanza del rapporto umano e della presa in carico integrale del paziente, in particolare di quello fragile, spesso escluso dalle cure standard.
Operare nella fragilità, per Ottolina, è più di un’attività: è un modo di essere, di intendere la cura, e forse anche un invito, per l’intera categoria odontoiatrica, a riscoprire la parte più autentica della professione.
Un tassello fondamentale di questo percorso è la Sioh, la Società italiana di Odontostomatologia per l’handicap, che oggi presiede.
Nata nel 1985 come associazione dedicata all’odontoiatria per la disabilità, si è evoluta in una società scientifica riconosciuta a livello ministeriale, con l’obiettivo di formare i professionisti della salute orale alla cura delle persone con disabilità e fragilità, anche sanitarie ed emotive.
“Siamo un’associazione di volontariato travestita da Società scientifica costituita da professionisti preparati – racconta – ci paghiamo tutto di tasca nostra, ma siamo mossi da un’idea forte: diffondere una cultura della cura inclusiva e competente”.
La Sioh organizza congressi, corsi, incontri nelle università e nelle associazioni di familiari, per far emergere un bisogno troppo spesso invisibile: quello della salute orale per chi vive una condizione di vulnerabilità. Ma il fine principale è quello di sensibilizzare i colleghi a trattare i pazienti speciali come pazienti normali e nella maniera più consona possibile, perché comunque necessitano trattamenti specifici.
Ottolina – a cui, prima dell’estate, è stato conferito il Premio Micheletti – sottolinea quanto, anche per un odontoiatra libero professionista, saper gestire pazienti con bisogni speciali sia un valore aggiunto.
“In ogni studio arrivano almeno due o tre nuovi casi alla settimana con fragilità: sapere affrontare quelle situazioni, saper ascoltare e accogliere, ti fa crescere come medico e come persona”. A chi obietta che “ci si perde tempo”, lui ribatte: “Anche i buchi in agenda hanno un costo. Invece, questi pazienti diventano spesso i più fedeli”.
Il paziente fragile, sottolinea, è un paziente come gli altri a cui servono attenzioni specifiche che non si improvvisano, ma si imparano. Nel suo lavoro in studio a Milano e, in ospedale a Piacenza, Ottolina continua a mettersi al servizio, collaborando con strutture che condividono la sua visione.
La sua è una professione che ha scelto di rimanere autentica, umana, fuori dalle logiche puramente imprenditoriali. E il riconoscimento ricevuto recentemente con il Premio Micheletti, lo vive come un riconoscimento collettivo.
“È per tutti quelli che ogni giorno scelgono di curare chi altri lasciano indietro – dice – tutti quelli che nel tempo hanno dato vita a questa straordinaria e unica società scientifica”.
Norberto Maccagno